domenica 24 gennaio 2016

The Revenant sì o The Revenant no?

A quasi un mese dalla serata degli oscar è scattato il toto-Iñárritu, tra chi esalta il regista messicano e chi invece lo denigra. Il nuovo film divide senza mezze misure, c'è chi lo ama e chi lo odia. The Revenant si presenterà alla notte degli Oscar forte delle sue 12 nomination. Per quanto se ne dica - anche male - non è un film a cui rimanere indifferenti. Una pellicola forte, brutale, anche per come è stata realizzata. Un po' ovunque sul web impazza la lista delle condizioni estreme in cui il film è stato girato, in un paesaggio ostile del nord america, con temperature che andavano dai -30 ai -40 gradi, con gli attori e la troupe sottoposti a delle vere prove di sopravvivenza.



The Revenant lascia poco spazio alla finzione: Iñárritu si è spinto ad un punto estremo del globo e lì, maniecalmente, ha voluto filmare ogni singolo dettaglio, ogni reale sfumatura di sofferenza, come un sadico torturatore. La sceneggiatura è dello stesso Iñárritu e di Mark L.Smith e trae spunto dall'omonimo romanzo del 2003 ispirato alla vita del cacciatore di pelli Hugh Glass di cui, tra storia e leggenda, si narra che nel 1823, durante una spedizione commerciale, fu abbandonato in fin di vita dai suoi compagni, riuscendo tuttavia a sopravvivere. L'intero film ruota fondamentalmente intorno alla lotta per la sopravvivenza in un territorio ostile e pericolo di Hugh Glass, che con incredibile forza di volontà e, spinto da un desiderio di vendetta, riesce a tornare vivo al suo accampamento. Tecnicamente sontuoso, girato interamente con luce naturale e senza effetti speciali - la scena dell'orsa è l'unica realizzata in 3D - The Revenant mette in risalto, che dir si voglia, l'estrosa follia del regista messicano. Lascia col fiato mozzato, l'intenso realismo induce lo spettacolo a rabbrividire, a soffrire e a mettere in atto una qualche azione di rivolta personale a quella tortura che si è auto inflitto pagando il biglietto del cinema. Di Caprio, nel difficile ruolo di Glass trasferisce tutta la sofferenza possibile su uno spettatore inerme, con una interpretazione che sebbene sia mossa da due solo matrici (la vendetta e la sopravvivenza) è altamente densa e stratificata, con una performance tutta fisica, quasi priva di battute. Una sfida raccolta e riuscita, sebbene i maligni opteranno per la denigrazione, perché un attore deve "sapere fingere". Invece è proprio in queste condizioni estreme che possiamo assistere alla forza di un attore, costretto a tenere vivo il personaggio pur nelle condizioni fisiche attoriali sottoposte a grande stress: per Di Caprio dunque, ennesima candidatura. Candidatura meritata e notevole interpretazione anche quella di Tom Hardy, il quale ha interpretato il freddo e disonesto Fitzgerand. A tratti, forse anche per le più variagate sfumature del suo personaggio, si fa preferire allo stesso Di Caprio.




Complessivamente un gran bel film, ma non privo di limiti. Dietro la grande minuzia tecnica e le interpretazioni di Di Caprio e Hardy, si cela in realtà una trama deludente. Sebbene sia tratto da una storia vera, la trama sembra ripetere la solita corsa del gatto e del topo, del buono e del cattivo, con il solito tema della vendetta a far da cornice a tutta l'azione. Una trama all'americana verrebbe da dire: Glass rischia troppo spesso di diventare un banalissimo eroe cinematografico, non più un uomo dalla grande spinta interiore che sfida gli elementi naturali e la sofferenza per salvare se stesso e vendicarsi.


Voto complessivo: 4/5


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