Tempi di siccità e calure, prima ancora che estive, creative. Da anni sentiamo parlare della crisi del teatro, una crisi che prima ancora d'essere rappresentativa è una crisi di numeri: poco pubblico, sempre lo stesso. Non c'è niente di peggio che andare a teatro, assistere a qualcosa di illuminante per poi voltarsi e sentirsi soli in quella pienezza. Le sale si svuotano, il piattino degli incassi sembra il cappellino dei questuanti di strada e si ha come la sensazione di appartenere ad una razza in via d'estinzione. Poi arriva un'estate, mai così calda, in cui qualcosa di magico accade: come un semino rimasto a lungo sotto il terreno aspettando il disgelo, l'uomo esce dalle sue caverne per andare a cogliere i frutti nati dall'albero delle arti.
Dal 4 luglio al 6 agosto il Teatro Marconi è animato da un vivace festival estivo, il quale prevede ogni sera un doppio spettacolo (sala esterna e sala interna), tutti di buona qualità. Accanto a nomi che hanno un certo richiamo, se ne affiancano altri meno risonanti, emergenti, ma non per questo di minor valore. E al di là della qualità della stagione estiva, ciò che fa parlare di sé sono i numeri: ottimi, sia dentro che fuori, addirittura forse in controtendenza rispetto alla stagione invernale. Cambio di paradigma? Il teatro diventa arte d'intrattenimento da godere in estate o è il riavvicinamento progressivo ad un'arte che ha saputo resistere alla crisi? Non lo sappiamo, ma è bello sapere che il teatro c'è, c'è chi sa farlo e c'è chi lo va a vederlo.
Due sono gli spettacoli a cui abbiamo assistito: L'ipocrita*, un libero adattamento di Antonio Grosso dai racconti di Vincenzo Cerami, diretto da Giancarlo Fares; e Letizia va alla guerra - La sposa e la puttana, della giovane autrice e attrice Agnese Fallongo. Due ottimi lavori, diversi, in scena sullo stesso palco in sere diverse, forse non con lo stesso richiamo ma certamente con la stessa energia: due testi che si rivolgono direttamente al pubblico in forma di monologo (sebbene il testo della Fallongo si avvalga della compartecipazione di Tiziano Caputo, spalla attoriale e accompagnamento musicale).
Antonio Grosso, diretto finemente da Giancarlo Fares, sa incantare la sua platea con un monologo ricco di colori e lo osserviamo, come una divinità del palco, compiere il miracolo della moltiplicazione dell'io e delle personalità. Con un calore e un ardore che hanno in pochi, Grosso rende quasi irrilevante il pregevole adattamento che ha operato dai racconti del maestro Cerami: avesse a disposizione un elenco della spesa, forse saprebbe ugualmente trarne attimi di sconvolgente e sapiente teatralità. Non a caso è uno degli spettacoli che molti tra il pubblico hanno già visto e con piacere riguardano (e siamo riguarderanno ancora con piacere). Un'ora di teatro, di bellissimo teatro, con un'eleganza stilistica che non disdegna l'ironia, pur mantenendo un obiettivo che mira a scandagliare zone profonde dell'essere e delle sue molteplici quanto insoddisfatte spinte esistenziali. Alla fine sai che hai affrontato un viaggio nel profondo dell'essenza umana, ma mantenendoti sempre in equilibrio sul filo della leggerezza: è il connubio narrativo che riesce ai grandi.
Spostandoci in avanti di qualche giorno, lo stesso palco ha accolto Agnese Fallogno e Tiziano Caputo, in un duplice racconto al femminile, il quale ci riporta indietro nel tempo, fino agli anni delle due grandi guerre. Una giovane donna siciliana, Letizia, deve salutare presto il suo novello sposo Michele partito per il fronte. L'amore e la preoccupazione la spingono ad affrontare un viaggio senza ritorno, direzione nord, per essere vicino all'amato in trincea, partecipando insieme alle tante donne dell'epoca, al prezioso rifornimento di generi alimentari ai soldati. Anni più tardi, durante la seconda guerra, il figlio che Michele ha avuto con un'altra donna, troverà la sua "Letizia" (il cui vero nome è Lina) in una delle prostitute della casa del piacere della Sora Gemma: un duplice, beffardo destino, che accomuna la sorte del giovane a quelle del padre, lo costringerà a dover rinunciare a sua volta al suo amore. Una storia intrisa di passione narrativa e istrionico calore, dai risvolti amari e poetici, che ha preso ispirazione da alcuni vecchi film. Forse qualche ingranaggio è ancora da affinare, ma è un duo che funziona benissimo: la Fallongo ricama la trama della tela, Caputo definisce i dettagli con una presenza piacevole, a tratti recitata, altre volte con un ricercato accompagnamento musicale e sonoro. Un'ora di teatro in cui non è mancata certo la "Letizia".
M.d.S.
*Curiosità: il termine ipocrita deriva dal lat. tardo hypocrĭta, gr. hypokritḗs "attore", cioè "simulatore".
Per conoscere il programma del Marconi Teatro Festival vista il sitoweb.
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